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Famiglie ombra parla al cuore di chiunque abbia mai cercato un posto che si possa chiamare «casa». Nove storie figlie della diaspora filippina e di un tempo in cui la distanza sembra essere la barriera, alla perenne ricerca, come siamo, di ricongiungerci con chi amiamo, separati da confini reali o solo immaginati. Mia Alvar riversa intere vite in poche pagine e tratteggia una paziente geografia dei sentimenti, un itinerario umano capace di abbracciare in un solo potente sguardo i bassifondi di Manila, la New York dell' 11 settembre e il Medio oriente di chi sgobba nel deserto per mandare i soldi in patria. Un farmacista ormai newyorkese ritorna a casa carico di medicine contrabbandate, per assistere nella morte un padre che ha sempre odiato e a cui inevitabilmente ha finito per assomigliare. In Bahrein, una conventicola di riccone filippine dà feste e organizza karaoke per i compatrioti meno fortunati, in attesa che una serpe in seno mandi in rovina quel castello di smancerie. E poi le vicende familiari e politiche dei coniugi Aquino, raccontate proprio mentre il loro destino - e quello della nazione tutta - sta tragicamente per compiersi. Una volta Alvar ha descritto così il suo paese: «le Filippine sono state colonizzate dagli spagnoli per 400 anni e dagli statunitensi per 50:400 anni in convento seguiti da 50 a Hollywood». Una inconciliabilità riflessa nella sua scrittura ambiziosa, in cui la Storia si insinua nelle storie, cesellando veri e propri romanzi in miniatura gravidi di una sensualità sospesa tra fedeltà «cattolica» ed emancipazione «americana».